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L’illusione prospettica e i “moti dell’animo”

Provate a immaginare di tornare al tempo di Leonardo,
quando i frati sedevano, pregavano e mangiavano distribuiti
lungo il perimetro della stanza, in un ambiente simile
a quello che l’artista rappresenta sulla parete.

Il refettorio, infatti, è come una scatola prospettica nella quale lo spazio dipinto e la dimensione reale interagiscono.
Per questo Leonardo sceglie di ambientare la scena in un contesto che possiamo definire “aperto” verso l’esterno e non in un luogo chiuso, come invece vorrebbe la tradizionale iconografia.
 

Leonardo riesce a creare l’illusione che la realtà continui oltre il muro dipinto grazie a un uso sapiente della luce e della prospettiva.

La principale fonte luminosa proviene dalle finestre della parete sinistra del refettorio
e coincide con la luce che all’epoca di Leonardo illuminava la sala; un lieve effetto
di controluce è dato anche dalle grandi finestre che vediamo in secondo piano.
La presenza delle sorgenti luminose permette alle due dimensioni
– quella reale e quella illusoria del dipinto – di interagire tra loro.

La costruzione prospettica, invece, ha il suo punto di fuga a quattro metri di altezza,
in corrispondenza della tempia destra di Cristo.

 

Leonardo modifica le regole matematiche della prospettiva e rappresenta
la scena su un piano inclinato per rendere la tavola imbandita visibile
ma anche per unire lo spazio reale con quello pittorico e rendere
così comprensibile l’intera composizione anche da una certa distanza.

Inoltre, dalle finestre sullo sfondo dello spazio dipinto possiamo intravedere montagne azzurrine. Il nostro occhio è guidato verso questo paesaggio naturale dalla prospettiva, creata dalla disposizione della tavola, dagli arazzi raffigurati alle pareti del dipinto e dal soffitto a cassettoni.

Inoltre, dalle finestre sullo sfondo dello spazio dipinto possiamo intravedere montagne azzurrine. Il nostro occhio è guidato verso questo paesaggio naturale dalla prospettiva, creata dalla disposizione della tavola, dagli arazzi raffigurati alle pareti del dipinto e dal soffitto a cassettoni.

Per rendere i diversi piani del dipinto, Leonardo utilizza quella che lui stesso chiama la “prospettiva aerea” nel suo Trattato della pittura con l’esempio delle montagne che, in lontananza, ci appaiono più azzurre proprio come nell’Ultima Cena.
La prospettiva aerea cara a Leonardo è qui rappresentata con un brusco mutamento della gamma cromatica che, dai colori caldi delle figure in primo piano e dello spazio architettonico, passa a toni freddi, come il verde e l’azzurro, dando così l’idea dell’aria che sta tra l’occhio di chi osserva e lo sfondo pittorico.

Il “Trattato della Pittura” di Leonardo è una raccolta di pensieri e appunti tratti dai suoi diversi manoscritti, appunti e disegni. Dopo la sua morte tutto questo materiale fu costudito, ricopiato e compilato da Francesco Melzi. Si tratta quindi di un’opera composita, compilata da un allievo e pubblicata solo dopo la morte dell’artista.

Ultima Cena, Leonardo Da Vinci, 1495-1498.
Dettaglio delle montagne azzurrine
che si intravedono dalle finestre dipinte sullo sfondo
La Gioconda, Leonardo Da Vinci,
1503–1504 circa (Museo del Louvre).
Dettaglio del paesaggio alla sinistra del dipinto

Gli apostoli

Il primo discepolo da sinistra è Bartolomeo, che si trova all’estremità del tavolo e sembra alzarsi di impeto all’annuncio di Cristo: egli, infatti, poggia le mani sulla mensa e protende il corpo verso Gesù.

Vicino a lui si trova Giacomo Minore, che vediamo di profilo mentre tocca la spalla del più anziano Andrea, il quale alza le mani, come a volersi discolpare da qualsiasi sospetto di tradimento.

Vicino a lui c’è Pietro, che il fratello Andrea tocca con la mano sinistra quasi a chiedere conforto, ma che è proteso verso Giovanni, il giovane malinconico seduto accanto a Cristo.

Pietro, infatti, sembra voler cogliere le parole di Cristo e incitare Giovanni a chiedere chi sia il traditore. Pietro, inoltre, impugna un coltello nella mano destra, appoggiata sul fianco.
Vicino a questo gruppo c’è Giuda, che sembra ritrarsi col corpo mentre poggia il gomito sulla mensa. Nella mano tiene la sacca contenente i 30 denari che ha ricevuto per il tradimento.

Ultima Cena, Leonardo Da Vinci, 1495-1498. Dettaglio della mano di Giacomo Minore mentre tocca la spalla di Andrea
Ultima Cena, Leonardo Da Vinci, 1495-1498. Dettaglio della mano di Pietro che impugna un coltello
Ultima Cena, Leonardo Da Vinci, 1495-1498. Dettaglio della mano di Giuda che tiene una sacca di denari

Al centro della composizione, e del movimento
dei dodici apostoli, si trova Cristo,
isolato nella sua perfetta sagoma triangolare.

Sulla destra, invece, Giacomo Maggiore apre con sdegno le braccia mentre Tommaso, proteso verso Cristo, lo esorta a parlare tenendo l’indice della destra puntato in alto.
Filippo si è appena alzato in piedi e, rivolto verso Cristo, porta le mani al petto con un’espressione di dolore sul volto.

Vicino a lui c’è Matteo, che ruota le braccia verso Cristo. Il suo volto, però, è girato nella direzione opposta e rivolto verso Simone e Giuda Taddeo per richiamare la loro attenzione alle parole appena udite.
Giuda Taddeo, invece, è stupito. La sua mano sinistra poggia sulla tavola col palmo aperto, mentre con la destra l’apostolo indica sé stesso.
L’anziano Simone, infine, con atteggiamento più pacato siede a capotavola e si rivolge a Giuda Taddeo e a Matteo.

Ultima Cena, Leonardo Da Vinci, 1495-1498. Dettaglio volto di Tommaso
Ultima Cena, Leonardo Da Vinci, 1495-1498. Dettaglio volto di Matteo
Ultima Cena, Leonardo Da Vinci, 1495-1498. Dettaglio volto di Taddeo

Leonardo affida alle espressioni dei volti, ai gesti e agli atteggiamenti dei corpi degli apostoli
i sentimenti più vari come la rabbia, la paura, lo stupore e il dolore perché, come lui stesso scrisse,

“I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali,
sono molti; de’ quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare
[…] ira, letizia, malinconia, paura”.