Tuttavia, alla morte di Filippo Maria, avvenuta nel 1447, i milanesi non riconobbero Francesco come legittimo erede del ducato e si ribellarono proclamando la Repubblica Ambrosiana.
Per questo, nel 1449, lo Sforza assediò Milano per ben otto mesi, bloccandone tutte le vie di comunicazione con l’esterno come i canali e le strade. Il popolo, affamato per la mancanza di rifornimenti, alla fine cedette, così Francesco entrò ufficialmente in città il 22 marzo del 1450 con la moglie e il figlio Galeazzo Maria. La sua carica durò 16 anni.
Tuttavia, alla morte di Filippo Maria, avvenuta nel 1447, i milanesi non riconobbero Francesco come legittimo erede del ducato e si ribellarono proclamando la Repubblica Ambrosiana.
Per questo, nel 1449, lo Sforza assediò Milano per ben otto mesi, bloccandone tutte le vie di comunicazione con l’esterno come i canali e le strade. Il popolo, affamato per la mancanza di rifornimenti, alla fine cedette, così Francesco entrò ufficialmente in città il 22 marzo del 1450 con la moglie e il figlio Galeazzo Maria. La sua carica durò 16 anni.
I forti contatti politici ed economici che Milano ebbe con Firenze e la vicinanza con Padova favorirono, infatti, la diffusione in città del linguaggio artistico rinascimentale, legato alla cultura classica e a nuovi canoni di bellezza, basati sull’armonia e sulle proporzioni matematiche.
I forti contatti politici ed economici che Milano ebbe con Firenze e la vicinanza con Padova favorirono, infatti, la diffusione in città del linguaggio artistico rinascimentale, legato alla cultura classica e a nuovi canoni di bellezza, basati sull’armonia e sulle proporzioni matematiche.
Proprio in omaggio alla casata degli Sforza, Filarete chiamò Sforzinda la città ideale con pianta a stella e una rete viaria impostata a raggiera, da lui progettata intorno alla metà del secolo.
Francesco Sforza morì nel 1466. Gli succedette il figlio Galeazzo Maria, che fu assassinato dieci anni dopo lasciando il ducato al figlio Gian Galeazzo, di soli sette anni. Qualche anno dopo lo zio Ludovico, detto il Moro, riuscì a destituire il nipote e a diventare il duca di Milano.
Bramante, però, risolse con grande abilità il problema e, utilizzando al meglio le regole della prospettiva, che ben conosceva, realizzò un finto coro. Ciò gli permise di creare uno spazio del tutto immaginario, infatti in meno di un metro di profondità riuscì a dare l’illusione che l’architettura si estendesse per quasi dieci metri.
Bramante si dedicò anche alla ricostruzione della tribuna della chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie, che il Moro aveva scelto come luogo di sepoltura per la sua famiglia.
Bramante si dedicò anche alla ricostruzione della tribuna della chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie, che il Moro aveva scelto come luogo di sepoltura per la sua famiglia.
Dopo il suo definitivo abbandono di Milano, nel 1513, i suoi allievi,
come Cesare da Sesto, Bernardino Luini, Giovanni Antonio Boltraffio e Andrea Solario,
continuarono lo stile pittorico del maestro toscano, che si diffuse nel ducato di Milano
e nei territori vicini, dove anche lo stesso Leonardo aveva soggiornato.