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Restauro del Montorfano
e della parete ovest del refettorio

  • 11 Gennaio 2022

Per la prima volta dopo più di venti anni il refettorio di Santa Maria delle Grazie torna ad ospitare un vero e proprio cantiere al suo interno, in occasione del restauro delle superfici dipinte della parete sud, con la Crocifissione di Donato Montorfano (1495), della parete ovest e dei lacerti di intonaco presenti sulla volta, miracolosamente salvatisi dai bombardamenti aerei del 1943.

 
Questa sarà una storia inedita che vogliamo raccontare e condividere con il nostro pubblico, un percorso di scoperta che seguirà passo passo gli sviluppi e le attività del cantiere, attraverso approfondimenti e immagini.

La Crocifissione ha una superficie di circa 50mq ed è realizzata con tecnica mista che unisce affresco, pittura a calce, finiture a secco e parti realizzate in pastiglia a rilievo e rifinite un tempo con foglia metallica. Sono inoltre presenti finiture a polvere d’oro, oggi purtroppo solo parzialmente visibili. Negli angoli inferiori del dipinto le figure dei committenti, Ludovico il Moro con il primogenito Ercole Massimiliano a sinistra e Beatrice d’Este con il figlio minore Francesco sulla destra, sono attribuite a Leonardo da Vinci e purtroppo hanno perso praticamente per intero gli strati pittorici.
Se vuoi saperne di più vai alla scheda dell’opera.
Sulla parete ovest e sulla volta sono presenti motivi decorativi policromi e monocromi realizzati in fasi diverse a partire dal 1488, data di ultimazione del refettorio. Sono inoltre ancora visibili due lunette decorate: una adiacente alla Crocifissione che rappresenta il profeta Isaia, l’altra verso l’Ultima Cena raffigurante uno stemma in una ghirlanda e attribuita allo stesso Leonardo da Vinci.

L’intervento che è in corso di realizzazione si pone in continuità con i principi di conservazione preventiva perseguiti dal Museo del Cenacolo Vinciano. Nel secolo scorso i restauri sono stati almeno due, uno negli anni Cinquanta per rimediare ai danni della guerra, l’altro nel 1995. Quest’ultimo, ad opera di Pinin Brambilla Barcilon, ha forse riguardato anche altri elementi decorativi del refettorio. In seguito e fino ad oggi sono state eseguite regolari attività di controllo ravvicinato. La stessa Brambilla ne eseguì uno nel 2012.
Proprio durante queste manutenzioni periodiche, nel 2020, sono emersi dei problemi localizzati sulla Crocifissione e sulla volta del refettorio, in particolare di adesione e coesione degli strati pittorici, oltre che di alterazione dei numerosi ritocchi.

Da qui nasce questo progetto di restauro. Segui gli aggiornamenti dal cantiere per scoprire questo restauro insieme a noi!

1. Analisi preliminare dello stato conservativo

L’analisi preliminare dello stato conservativo delle superfici dipinte oggetto di questo restauro è stata condotta inizialmente con il più antico degli strumenti a disposizione, gli occhi.

 

Grazie all’uso di un braccio elevatore mobile si è eseguita una indagine visiva ravvicinata, approfondita grazie a immagini fotografiche appositamente realizzate da un professionista, sia a luce diretta che a luce radente.

La tecnica delle fotografie a luce radente permette, grazie all’utilizzo di un fascio luminoso praticamente parallelo alla superficie, di metterne in evidenza i difetti, aiutando quindi il restauratore nel suo lavoro di diagnosi, e, dome vedremo, facilita lo studio della tecnica pittorica.

Da queste osservazioni sono emersi alcuni problemi conservativi: localizzati difetti di adesione dell’intonaco e della pellicola pittorica, mancanze circoscritte, tanto di intonaco quanto di colore, fessurazioni, residui di scialbo e di fissativi dai restauri precedenti. Inoltre un deposito superficiale di polveri e particolato, insieme all’alterazione sopravvenuta con gli anni dei ritocchi pittorici risalenti ai diversi restauri, falsava le cromie.

È da questa analisi preliminare – e dai suoi risultati – che è partito il cantiere: noi ve lo racconteremo nelle prossime settimane iniziando dall’allestimento del ponteggio.

Continuate a seguirci!

2. L’organizzazione di un cantiere nel refettorio

Il refettorio di Santa Maria delle Grazie è una macchina delicata e complessa, controllata in ogni aspetto (umidità dell’aria, temperatura, polveri, inquinanti, numero di visitatori), per garantire la conservazione delle opere che custodisce. Un cantiere, collocato in un ambiente caratterizzato da un equilibrio così delicato, deve necessariamente rispettarne le esigenze.

Anche l’allestimento dei ponteggi ha richiesto un’accurata progettazione. Sono state infatti valutate le possibili interferenze delle strutture con il funzionamento della macchina-refettorio e si è lavorato per minimizzarne l’impatto sotto tutti i punti di vista: le strutture sono state progettate per adattarsi alle irregolarità di un edificio storico pur consentendo spazi di lavoro adeguati e in modo da non interferire con il sistema di filtrazione dell’aria, essenziale per l’equilibrio conservativo.

Materiali che generano o attirano polveri sono stati banditi e sostituti con altri, inerti. I teli che le ricoprono, ad esempio, sono stati realizzati con un tessuto display che non rilascia fibre, è molto coprente e, posizionato su tutti i lati del ponteggio, riduce lo scambio tra le particelle dovute alla normale presenza del pubblico nella sala e quelle legate alle attività di restauro.

Le stesse attenzioni le abbiamo rivolte anche a voi visitatori: l’allestimento del cantiere e il restauro sono stati programmati in modo da poter mantenere aperto il Museo per tutta la durata dei lavori, riservando le operazioni più articolate o più rumorose agli orari di chiusura al pubblico. Inoltre, un ledwall ancorato ai ponteggi mostra i dettagli dell’opera temporaneamente nascosta.

Ora è tutto pronto per iniziare il restauro, quale sarà il prossimo passo? Seguiteci per scoprirlo!

3. La Crocifissione dai ponteggi

Come abbiamo raccontato negli aggiornamenti precedenti, anche se lo stato di conservazione complessivo dell’opera appariva soddisfacente a più di vent’anni dall’ultimo restauro, già le analisi preliminari – indagine visiva ravvicinata e l’utilizzo di fotografie a luce diretta e radente – avevano evidenziato la presenza di alcune situazioni di degrado.

Si erano notati difetti di adesione dell’intonaco e della pellicola pittorica in alcuni punti, mancanze di intonaco e di colore, fessurazioni, residui di scialbo e di fissativi e alterazione dei ritocchi pittorici dei precedenti restauri.
Tuttavia è solo dopo avere montato i ponteggi che i restauratori hanno potuto analizzare in modo sistematico l’opera, trovando una situazione per alcuni aspetti diversa.

In particolare si è visto che i distacchi dell’intonaco sono più profondi di quanto si fosse pensato e che precario è anche lo stato dei residui di finiture a lamine metalliche, applicate dal Montorfano su dettagli a rilievo come elmi, bardature o armature. La pellicola pittorica era offuscata da un sottile velo grigio e estese zone lucide ad andamento orizzontale erano molto evidenti.

L’osservazione ravvicinata al microscopio ha rinvenuto microscopiche tracce di azzurrite sul cielo, che quindi un tempo era blu profondo nella parte alta e azzurro in quella più vicina alle architetture. Questa parte è infatti realizzata con smaltino, un pigmento a base di vetro che a causa dell’umidità (un tempo abbondante nel refettorio) vira al grigio.

Ma come si approcciano i restauratori a un cantiere? Quali sono i primi passi da compiere?

4. Dentro il restauro: archivi e mappature

Un restauro ben condotto non si esaurisce nell’azione sull’opera ma prevede fondamentali attività parallele, alcune preliminari altre contestuali allo svolgimento dei lavori.

 
Queste comprendono rilevamenti diretti, come la mappatura grafica, la diagnostica per immagini, la documentazione fotografica e attività di ricerca, svolte tanto sull’opera stessa (il documento principe!!) che negli archivi.
Ci si immette così in una catena storica: azioni e studi che compiamo ora sull’opera diventeranno il materiale per le future ricerche di archivio e punto di partenza per altri restauri.
 
Ricerche, osservazioni, diagnostica permettono a chi deve progettare e condurre il restauro di capire i problemi che si trova ad affrontare, approfondirne le criticità, ma anche confermare o smentire le ipotesi formulate sulla storia dell’opera . Per preparare l’intervento sul Montorfano le ricerche si sono concentrate sui documenti scritti e visivi conservati negli archivi della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della città metropolitana di Milano, che ha avuto in gestione il museo per lungo tempo, ma anche su fotografie storiche, sulla bibliografia otto/novecentesca, su filmati.
 

Un’altra fonte importante sono stati i documenti dell’archivio Pinin Brambilla che la restauratrice ha lasciato alla biblioteca del CCR la Venaria Reale nel quale sono contenuti appunti, relazioni e fotografie dei suoi interventi nel refettorio di Santa Maria delle Grazie.

 
Sui ponteggi sono invece iniziate le attività di mappatura, realizzate prima a mano e poi riportate digitalmente su supporti vettoriali in CAD, organizzandole per temi: tecniche di esecuzione, stato di conservazione, interventi precedenti, approfondimenti diagnostici. Tutte le informazioni raccolte sono archiviate sulla piattaforma informatica SICaR del Ministero della Cultura che ne consente la gestione e la consultazione.
 
Ma cosa abbiamo capito delle superfici del refettorio di Santa Maria delle Grazie da queste attività? Ne parleremo nelle prossime settimane!

5. Giornate, pontate e riporto

Uno dei primi aspetti indagati dai restauratori, una volta saliti sui ponteggi, è stata la modalità di lavoro di Donato da Montorfano e della sua bottega per capire come il maestro lombardo avesse impostato una composizione vasta come la Crocefissione.

 
Grazie all’osservazione ravvicinata – i cui risultati sono riportati in un grafico dettagliato – sono state individuate sul dipinto le tracce che indicano le “pontate” (fasce orizzontali che seguivano l’ampiezza del ponteggio) e le “giornate” (piccole porzioni di intonaco che l’artista dipingeva prima che asciugassero. Con l’intonaco asciutto i pigmenti infatti non si sarebbero incorporati stabilmente e l’intonaco non dipinto veniva pertanto rimosso).
  
Anche se la complessa successione delle giornate e dei numerosi ripensamenti è ancora in fase di studio, sappiamo intanto che Donato da Montorfano iniziò a dipingere dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra, frazionando la scena in porzioni più o meno piccole a seconda della loro complessità figurativa.
 
Le prime giornate definiscono gli elementi dell’incorniciatura architettonica, come si può vedere dalla superstite parasta destra.
Successivamente sono stati dipinti la porzione di cielo nelle lunette e gli stendardi principali.
Una giornata è dedicata alla croce centrale, senza la figura di Cristo, fino all’altezza dei personaggi a cavallo. Ai tre cavalieri con elmo posizionati sotto le tre croci e identificabili dall’armatura azzurro-verde, gialla, bianca, sono dedicate una o più giornate: sono le prime figure completate, probabilmente perché fungevano da punti di riferimento compositivo. 
  
Nel corso dell’osservazione sono state anche identificate le tecniche utilizzate per il riporto del disegno sull’intonaco. Oltre alle battiture di corda, che davano le linee generali di impostazione dello spazio pittorico, sono visibili sul dipinto le incisioni dirette che erano usate per circoscrivere le parti su cui venivano applicate, in seguito, le lamine metalliche. Le incisioni indirette invece, ottenute calcando generalmente con un ferro appuntito i contorni del disegno eseguito sui cartoni, delineavano profili e panneggi. Per la trasparenza dello strato pittorico sono state individuate anche tracce di spolvero per dettagli più minuti. 
  
Ma con quali tecniche si dipingeva dopo aver riportato il disegno preparatorio? Ve lo raccontiamo nel prossimo aggiornamento.

6. Affresco e tecniche a secco, lamine metalliche

L’osservazione ravvicinata della Crocefissione ha permesso di individuare non solo le “giornate” di lavoro (ne sono state identificate più di quaranta) ma anche le diverse tecniche utilizzate nell’esecuzione dell’opera, che comprende parti eseguite “a fresco” e altre “a secco”.

 

Con il termine tecniche “a secco” si intendono le stesure eseguite sull’intonaco asciutto, con pigmenti mescolati con leganti diversi, organici (caseina, uovo, olio) o minerali (calce). La combinazione di tecniche differenti non va interpretata come un errore dell’artista sorpreso dall’asciugatura imprevista dell’intonaco: in questo caso avrebbe infatti sostituito la porzione di superficie asciutta con l’intonaco “fresco”. Al contrario, il passaggio da una tecnica all’altra era stato previsto ab initio, per ottenere effetti particolari o rispondere alle esigenze di pigmenti che si alterano con la calce. Lo spiega molto bene il Libro dell’Arte, il celebre trattato che il pittore Cennino Cennini scrisse a inizio 400, illustrando le principali tecniche pittoriche adottate dagli artisti della sua epoca, e che per noi è fonte fondamentale.

La tecnica esecutiva di Montorfano è coerente con le indicazioni generali in esso contenute ma soprattutto con la tradizionale predilezione lombarda per una pittura ricca, operata e dalla superficie varia.

Nel dipinto di Montorfano ad esempio quasi tutti gli elmi e le armature dei cavalieri, ma anche altri particolari, come le punte delle lance e il secchio dell’uomo ai piedi della croce, non solo sono a rilievo, ma presentano tracce di una lamina metallica, quasi certamente di stagno ora ossidato e scuro, applicata “a missione” cioè con una miscela adesiva oleo resinosa (mordente) che poteva avere colorazioni diverse, dal bianco al rosso.

Le lamine venivano aggiunte sulla pittura finita, quando la malta era perfettamente asciutta, e fatte aderire grazie al mordente. Le foglie metalliche oltre che in stagno, come in questo caso, potevano essere in argento, che però si ossida ancora più rapidamente (come scriveva Cennino “non dura e vien negro”), oppure in oro. Naturalmente questo era riservato ai nimbi e rivestiva borchie e decorazioni in rilievo dei finimenti dei cavalli.

Nella Crocefissione l’oro impreziosiva poi l’orlo delle vesti, le modanature e i capitelli che definiscono le lunette, le stoffe degli stendardi. Sono, purtroppo, completamente perdute le dorature che ornavano i bordi della veste di Cristo, quelle dei soldati ai piedi della croce che giocano a dadi, e quelli del manto di Giovanni e della pia donna che sorregge la Vergine Maria. Le possiamo leggere ormai solo in negativo, attraverso le tracce lasciate dalla “missione” e dalle lacune del colore di fondo.

Ma grazie allo studio ravvicinato dell’opera sono state scoperti e riscoperti tanti altri dettagli sull’esecuzione della Crocefissione.
Vuoi sapere quali? Segui i prossimi aggiornamenti.